Omaggio a Indor Montanelli

Nei giorni scorsi nella mia home di Facebook sono apparse diverse foto di un monumento imbrattato di vernice: la statua di un vecchio uomo seduto, con un blocco di bronzo adagiato sulle ginocchia. La vernice rosa cola dal volto, macchia la statua in maniera copiosa e irregolare. Quello che vedo suggerisce un che di mortifero e gioioso insieme. Non ho altre informazioni a riguardo, tanto da arrivare a supporre che il vecchio sia William Burroughs: al momento le immagini non sono accompagnate da alcuna didascalia.

Penso all’ultimo estro di chissà quale artista contemporaneo, magari un Damien Hirst avanzato da Treasures of the wreck of the unbelievable. Le foto continuano a susseguirsi senza troppe spiegazioni, se si eccettua qualche commento entusiastico per l’atto – comprendo così che si è trattato di un’azione, e non della mera esposizione di un’opera finita.

Decido di fare un gioco con me stesso, di attendere cioè che la notizia – se c’è – venga a me in maniera spontanea così come le foto, che continuano a moltiplicarsi nella mia home. Parlo di notizia non solo perché ho l’impressione che ce ne sia una, da qualche parte, ma perché mi sento in una sorta di parallelo con la circostanza di quegli articoli commentati a partire da un titolo, senza leggerne il contenuto per intero.

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Nel frattempo deduco qualcosa in più dall’identità di gruppo – o dall’aggregato d’identità di gruppo – di chi posta le immagini; si tratti dei miei contatti – dei miei amici – più vicini a istanze di sinistra o quantomeno progressiste, in qualche caso accelerazioniste, radicali, femministe. Viene fuori che la statua è quella di Indro Montanelli, imbrattata da chissà chi e chissà dove: di fatto non ho ancora letto niente in merito, limitandomi a guardare, a godere di queste foto su un livello puramente estetico. Senza alcun riferimento di contesto attorno, percepisco come opera tanto l’atto in sé quanto le immagini che lo rappresentano e raccontano in digitale.

Continuo col gioco, resto in attesa. Anche perché ormai si tratta davvero di una sorta di piccola moda: decine di contatti condividono le foto della statua in rosa, le impostano come immagini di copertina sui propri profili. Quando c’è un testo d’accompagnamento è sempre ironico e poco aggiunge al fatto in sé, a parte il nome del vecchio imprigionato nella figura di bronzo.

Nella mia testa cominciano a unirsi diversi tra i cosiddetti puntini: la vernice rosa, le orribili scorribande sessuali di Indro Montanelli in Africa, l’8 marzo da poco trascorso. Ma l’indagine, automatica e involontaria, non porta ancora a nessuna conclusione. A trionfare, man mano che le foto aumentano, è sempre questo fantomatico godimento di un’opera fantasma (come scoprirò in seguito, il monumento è stato ripulito in poche ore*).

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Il fatto è che le foto sono bellissime: i colori che vibrano nel blu e nel nero della notte, il rosa vapor di questi nostri anni, il gas dei fumogeni sempre color pastello, l’alta definizione che permette di scorgere benissimo ogni dettaglio, perfino il colare in singole, dense gocce della vernice dalla fronte del vecchio.

Ma bellissima è anche la resa dell’opera: ha un che di commovente. La testa china del vecchio, insanguinata di rosa, non rappresenta una drammatica umiliazione inflitta a Indro Montanelli soltanto, ma a un intero passato – e non solo in quanto coloniale e predatorio, no: piuttosto, in quanto semplicemente passato. È la presa estetica e artistica della Bastiglia, ecco cos’è quest’operazione, almeno per come ne ho fruito io in questo fine settimana.

Perché poi alla fine ho smesso di giocare e ho deciso di googlare “statua montanelli”, ed ecco la fredda cronaca in un articolo di Repubblica Milano, da dove rubo queste foto. Si tratta di un’azione del collettivo Non una di meno, le cui ragioni non solo non discuto, ma con tutta probabilità sosterrei se dovessi commentare la cosa in pubblico o con amici.

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Il punto è che non m’importa, l’azione ha una tale portata estetica – è artistica, pubblicitaria, virale per certe nicchie, è insomma contemporanea a tal punto che mi sono detto: non si potrebbe fare qualcosa di simile in ogni città italiana, con qualsiasi monumento del passato (ai caduti, a vecchi poeti che non legge più nessuno, a sindaci la cui memoria è stata ampiamente disonorata da classi dirigenti ignoranti)? Siamo sicuri che il passato, sotto sotto, non gradirebbe questo tipo d’attenzione iconica e violenta, che procede per sintesi e non per argomentazioni razionali? Perché io qui vedo un vecchio ridotto a scheletro malinconico ma vivo, la sua inutile Lettera 22 che diventa un blocco un po’ meno informe perché alleggerito dal colore, una memoria sì umiliata ma fertile, in qualche modo – e non sto dicendo che l’azione abbia fatto un favore al vecchio Indro, no, perché di questo revival godono e dunque soffrono le parti più orrifiche dell’esperienza umana di Montanelli. Che è bene sempre tenere a mente.

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*Mentre scrivevo queste righe, domenica sera, ho scoperto che la vernice, di quelle che vengono via con un lavaggio, è stata effettivamente rimossa dopo qualche ora; potremo quindi tornare a dimenticarci di quel monumento così come della questione irrisolta che l’azione di Non una di meno poneva. Un po’ penso che la mia generazione riesce a partecipare alla vita pubblica del Paese sempre e soltanto con questi atti ironici, situazionisti, con questi meme che ci fanno sospirare tra noi per qualche ora per poi finire nel dimenticatoio – penso, in concreto, al Joker di Jack Nicholson che imbratta una galleria d’arte contemporanea nel Batman di Tim Burton: è il modo in cui il villain si manifesta nel film, l’unico per lui possibile, da idiot savant qual è. Ma il fatto è che leggo della pulizia del monumento in un festante articolo di un giornale di destra, uno di quelli che si sono giovati, in termini di credibilità e legittimazione culturale, proprio della figura del Montanelli vivo, ormai percepito come una sorta di padre nobile del giornalismo italiano; nell’articolo c’è un refuso – Indro diventa Indor Montanelli –, il che mi fa ridere dell’assurdità delle assurdità che sospingono tutto, sempre, verso un’assurdità armoniosa che tutto appiana in una prospettiva storica, specie laddove non si riconosce al passato una forma sempre metamorfica e inafferrabile. E allora penso che no, forse l’azione non è stata poi così estemporanea, che se la polverosa onorabilità della statua è stata ripristinata, al contrario le immagini dell’umiliazione non si possono cancellare, continuano e continueranno a girare in rete e si faranno simbolo, non so di cosa ma un simbolo che resterà quanto e più del noioso monumento a Indro Montanelli ripulito in fretta e furia, e saranno un omaggio a quell’altro, a Indor – che mi pare un nome più che adeguato per un’aggressiva installazione d’arte contemporanea, destinata a rimanere quantomeno in digitale.

(Malesangue.com, 10 marzo 2019)

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