Si può leggere Roald Dahl in originale recuperando le vecchie edizioni dei suoi libri. Questo è vero. Tuttavia la scelta di “correggere” la lingua e la voce di un autore morto per adeguarli a una fantomatica “sensibilità moderna” è una scelta tanto cinica quanto stupida.
Il parallelo con la riscrittura e l’adattamento di grandi classici non è molto a fuoco, secondo me. Si può leggere contemporaneamente qualsiasi classico del passato, le sue riscritture e anche il suo adattamento per bambini, ma dovrebbe essere chiaro a tutti qual è l’originale, quali sono le sue basi culturali (anche quando vengono tradite), qual è l’adattamento e con quali scopi è stato creato.
Recentemente ho sfogliato un libro sulle avventure di Dedalo per bambini molto piccoli. In questa versione della storia la morte di Icaro è semplicemente tagliata, per ovvie ragioni. Ci sta. Però poi crescendo un bambino può recuperarsi l’originale (o gli originali) e scoprire la profonda tragicità della vita di Dedalo.
Il problema, nel caso di Dahl, è legato anche, forse soprattutto, al diritto d’autore. Paradossalmente, a riscrivere le opere di Roald Dahl è l’editore che detiene i diritti di queste opere. Questo significa che formalmente le opere di Roald Dahl non sono ancora riscrivibili o adattabili da chiunque, da un lato, e da un altro che chi detiene i diritti dovrebbe garantire a questi testi la reperibilità per quello che sono e al loro autore il diritto all’integrità dell’opera. Questo è quello che l’editore di Dahl non sta facendo. Finché un’opera è coperta da diritto d’autore, insomma, questo diritto presuppone anche dei doveri (soprattutto se l’autore in questione è morto e se, come nel caso di Dahl, a gestire l’opera non ci sono nemmeno più i familiari, ma un editore finanziato anche da Netflix).
(Chiaramente si potrebbero dire molte cose su come oggi viene interpretato e gestito in maniera fin troppo ambigua e restrittiva il diritto d’autore, ma non è questa la sede.)
Per quanto stramba e invecchiata male (o proprio per questo), un’opera ci restituisce anche la cultura dell’epoca in cui è stata scritta. Non dobbiamo cancellare gli scritti razzisti, misogini, classisti e sessisti del passato, non dobbiamo temerli: perché oltre a portarsi dietro storie che possono essere scritte più o meno bene, ci raccontano anche cosa siamo stati e cosa non vorremmo più essere proprio attraverso la sensibilità (o l’insensibilità) dei loro autori.
Per farla breve: anche solo da un punto di vista storico, filologico e culturale noi abbiamo un disperato bisogno delle fonti originali ogni volta che sono disponibili, e abbiamo bisogno che queste circolino quanto i legittimi stravolgimenti successivi di un’opera.
Queste operazioni – come pure la mancata ripubblicazione di alcuni volumi della saga di Zio Paperone di Don Rosa da parte di Disney (cosa ben diversa dall’aggiunta di un disclaimer iniziale) – mi fanno pensare che gli editori ritengano di aver equivocato il ruolo di educatori e alfabetizzatori che potevano ricoprire un tempo (e che non ricoprono più).
In altri termini, mi sembra che gli editori ritengano di rivolgersi a un pubblico troppo stupido e ignorante per riuscire a ricostruire il contesto storico e culturale in cui è stata scritta un’opera, e che anzi facciano di tutto perché quel contesto venga dimenticato, come se questo possa essere sufficiente a redimerci dagli errori del passato.
In tutto ciò viene meno, peraltro, il filtro che dovrebbero rappresentare genitori e insegnanti, come educatori, rispetto a ciò che leggono bambine e bambini.
Nel momento in cui ti tolgo un fumetto dalle mani, o strappo delle pagine da un libro perché “non puoi capirle”, ti sto dando dello stupido, e sto facendo una cosa molto paternalista. Che mi sembra il tipo di atteggiamento, tra gli altri, che oggi molti “sensibilizzatori” vorrebbero giustamente combattere, illudendosi tuttavia che eliminare l’aggettivo “grasso” da un libro faccia scomparire di colpo l’obesità e anche la sofferenza delle persone obese dal pianeta. Questo è molto stupido, e perbenista.
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Mi rendo perfettamente conto che, seguendo questo mio ragionamento, vale anche il suo contrario. Nel senso che se tra trent’anni una nuova “sensibilità moderna” vorrà ripristinare le opere di Dahl nella loro versione originale, allora bisognerà correre a difendere anche l’operazione di “pulizia” fatta oggi dal suo editore – proprio perché, in quanto perbenista e frutto di puro e furbo posizionamento sul mercato editoriale, ci racconterà com’eravamo in questo inizio millennio.