La gente è disposta a credere a qualsiasi cosa perché ne ha disperatamente bisogno, spiegava Mysterio a Peter Parker nel finale del precedente film di Spider-Man, Far from home.
Il villain aveva messo in piedi un incredibile spettacolo di illusioni ottiche su scala globale, un’assurda panzana con al centro un guerriero venuto dallo spazio per combattere una gigantesca quanto fittizia invasione aliena.
Sconfitto da Spider-Man, Mysterio continuava la messinscena raccontando al mondo intero che il vero pericolo veniva proprio dal Ragnetto, svelandone poi la reale identità con un video montato ad arte e mandato in onda sui maxischermi di New York.
Da qui riparte l’ultimo Spider-Man: no way home, e se è vero che abbiamo disperatamente bisogno di credere e per questo ci beviamo qualsiasi cosa venga proposta dal discorso pubblico per rilanciarla a nostra volta sui nostri profili, per questo film non possiamo fare a meno di identificare il manipolatore Mysterio con Sony e Disney-Marvel. Ma andiamo con ordine.
Per mesi le major comproprietarie dei diritti cinematografici di Spider-Man hanno pompato un marketing basato su presunti spoiler e finti leak da questo filmone che si presentava come una sorta di greatest hits a tema ragnesco, finendo col creare un hype a tratti insostenibile, superiore persino a quello dell’attesissimo Endgame del 2019.
Siccome hype e terrore da spoiler vanno di pari passo, ecco poi le sale strapiene nei primi giorni di proiezione di No way home, precedute da una blindatissima anteprima per giornalisti (invero un po’ umiliante) di soli 40 minuti. Guardando finalmente il film per intero, si scopre però che tutto quel carrozzone altro non era che un’illusione pienamente riuscita: tutto ciò che era uscito nei mesi precedenti, tutte le indiscrezioni, i rumors, le anticipazioni vere o presunte… era tutto vero, l’oggetto magico non era mai sparito né riapparso, standosene per tutto il tempo proprio lì, sotto il nostro naso di creduloni, per quello che era sempre stato: un blockbuster messo al riparo dal rischio spoiler con un marketing giocato su spoiler che di fatto avevano spoilerato tutto il film già nella fase di lancio.
Anche volendo, all’uscita dalla sala sarebbe quindi impossibile rovinare la festa al pubblico in fila per lo spettacolo successivo. A parte forse una singola scena, in Spider-Man: no way home non troverete nulla che non sia già stato annunciato, smentito, confermato e di nuovo smentito nei mesi precedenti alla sua uscita.
Ecco, forse ho appena fatto l’unico spoiler possibile per questo film.
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D’altra parte sarebbe pure inutile chiedersi come sarebbe stato guardare No way home completamente al buio, senza alcuna aspettativa rispetto alla presenza di Tobey Maguire, Andrew Garfield, Alfred Molina, Willem Dafoe, Jamie Foxx e tutti gli altri accanto a Tom Holland e Zendaya, semplicemente perché questo film è stato costruito su quel tipo di aspettative, in dialogo cioè con la campagna pubblicitaria e con chi l’ha seguita, trasformando quasi due terzi della pellicola in un gigantesco esperimento di fan service che ne estende la durata ben oltre il minutaggio ufficiale.
Per alcuni osservatori questo tipo di battage è la morte del cinema (come lo è l’occupazione quasi militare delle sale da parte del film nel periodo natalizio), mentre per altri è la giusta conclusione di una trilogia che ha riportato Spider-Man a essere quello che era nei primi fumetti, un adolescente in conflitto con sé stesso prima ancora che col mondo, e che tuttavia proprio con l’orrore mondano (di questo e altri mondi, ma soprattutto di questo) deve fare i conti.
Personalmente, trovo che il rapporto tra Disney-Marvel e fan negli anni abbia portato a una sorta di rito collettivo globale per cui, al di là delle perversioni del marketing, andare in sala è sempre un momento di socializzazione e divertimento del tutto sano, specie in tempi in cui (perdonando la semplificazione) gli schermi stanno fin troppo tra le persone e non davanti.
Semmai il rischio, guardando anche alle serie uscite su Disney+ nell’ultimo anno, è che alla lunga la rincorsa dell’effetto Wow e dell’hype a tutti i costi finisca col divorare lo spirito dell’Universo Marvel che con grande senso della progettazione narrativa era stato costruito nell’arco di più di dieci anni di film.
Insomma, il rischio è che il trucco diventi fine a sé stesso, occultando la magia, e che il franchise si autocannibalizzi. È presto per dirlo, ma lo stesso multiverso è una spia di quella che potrebbe rivelarsi un’occasione persa.
Mutuata anch’essa dai fumetti, l’idea che esistano universi paralleli con versioni differenti degli stessi personaggi non è stimolante solo sul piano narrativo, ma anche su quello estetico e formale. Nel caso di Spider-Man: no way home diventa poi un espediente creativo per dare dignità drammaturgica a una banalissima questione di accordi legali tra diverse major cinematografiche.
Eppure tanto in quest’ultimo film quanto nelle serie Disney-Marvel in cui si era già parlato di multiverso (Loki e What if…? in particolare) abbiamo goduto ancora poco sul piano della sperimentazione visiva portata invece a schermo, ad esempio, dal bellissimo Spider-Man: into the Spider-Verse (che del Marvel Cinematic Universe però non fa parte). E tutto sommato anche a livello narrativo è lecito aspettarsi qualcosa in più: lo stesso No way home si presenta decisamente più a fuoco nei minuti precedenti all’entrata in scena dei vecchi Spider-Man (ovvero proprio nei 40 minuti dell’anteprima per la stampa) e in quelli successivi.
(Sorpresa! Ecco qualche VERO spoiler da Spider-Man: no way home.)
È in quei punti che emergono i temi che ci toccano più da vicino come abitanti di Terra-616, con dialoghi e scene d’azione particolarmente azzeccati (il primo incontro tra Spider-Man, il dottor Octopus e Goblin sul ponte) e qualche trovata raffinata.
Ad esempio il verde: è il colore di Mysterio, del green screen dello spargitore di odio e fake news J. Jonah Jameson, oltre che della vernice con cui viene imbrattata la tuta di Spider-Man da un ex fan incazzato e trollato dalle menzogne degli stessi Mysterio e Jameson. Ed è ovviamente il colore di Goblin, il più irriducibile e folle tra i villain di questo film, il cui incontro con lo Spider-Man di Tom Holland rappresenterà l’equivalente della morte di zio Ben per l’Uomo Ragno dei fumetti e dei vecchi film.
Il punto interessante per noi, comunque, è che Peter Parker nel film deve fare i conti con quello che significa trasformarsi improvvisamente in una personalità pubblica in un mondo pronto a dividersi tra fan in adorazione e odiatori seriali, al contempo cercando di restare sé stesso e continuando a desiderare nient’altro che amare ed essere amati nel modo puro tipico di quando si è adolescenti.
Tutta la colata di fan service del film potrebbe poi mettere in ombra un aspetto abbastanza insolito per un film di supereroi: quello che tocca in sorte al Peter Parker di Tom Holland (certo con l’aiuto e l’esperienza dei vecchi Spider-Man) non è solo sconfiggere i suoi nemici, ma addirittura provare a correggerli, a salvarli, a infondere speranza in chi ti odia senza neppure un motivo apparente, ma solo perché sei Peter Parker. Tutto questo a costo di dover scegliere una sadica forma di oblio pubblico e privato e diventare un signor nessuno in una società in cui ci sono persone disposte a esibirsi in qualsiasi tipo di performance demenziale pur di raccogliere qualche minuto di celebrità.
Compiendo un sacrificio che, a ben guardare, non era stato richiesto a nessuno degli eroi Marvel, alla fine Peter Parker sceglierà di diventare tutt’uno con Spider-Man, rinunciando a sé stesso e alle persone che ama per saldarsi completamente con la maschera che indossa (almeno per questa trilogia).
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Ho un’età e una chiamiamola sensibilità culturale per cui le cose che ho appena scritto potrebbero apparire banalità all’ingrosso. Ma non posso dimenticare che quand’ero adolescente l’Uomo Ragno veniva ucciso (forse da quelli della mala, o dalla pubblicità…) in una canzone degli 883. Sempre in quegli anni cominciava a farsi strada l’idea di un mondo cupo, tanto pacificato a livello geopolitico (e non lo era) quanto impossibile da governare senza spargere iniquità e disuguaglianze in giro per il globo, in cui il massimo che potevi aspettarti da un film erano antieroi o eroi molto, molto problematici.
Per questo un po’ invidio gli adolescenti che oggi possono avere il loro Spider-Man per quello che era alle origini: un ragazzino che come loro sente di portare sulle spalle tutto il peso di un mondo in cui bisogna lottare per crescere senza perdere sé stessi, e che per sentirsi più leggero svolazza urlando Woooo! tra i grattacieli di Manhattan.
(Minimaetmoralia.it, 20 dicembre 2021)